Peccato per il ranking, chiosa il lettore Axl Rose. Come dargli torto: perso il Milan, dall’Europa League ne uscirà un’altra: Juventus o Fiorentina. Il Milan, già . La cronaca si è mangiata la storia. La seconda della Liga spagnola ha polverizzato la decima del campionato italiano, al di là degli episodi (tre legni fra andata e ritorno).
Al Vicente Calderon c’è stata partita per un quarto d’ora, dall’1-1 al 2-1. Prima e dopo, sempre Atletico. Troppo, come potenza fisica e organizzazione, non come talento. Diego Costa mi ricorda uno di quei centravanti «di terra»: merce rara, nel Brasile delle favole e delle favelas; un po’ meno oggi, in piena era di meticciato tattico e globalizzazione frenetica.
Il Milan, «questo» Milan, era sfinito da tempo. A Madrid, penso che sia ufficialmente finito. C’erano una volta Ibrahimovic e Thiago Silva, le classifiche di Galliani e il trend del brand. Punto e a capo. Dipende da Berlusconi: da quanto denaro fresco dedicherà alla rifondazione. E con chi, se è vera la storia dello sceicco.
Come volevasi dimostrare, il trasloco da Allegri a Seedorf non ha prodotto né riprese né ripresine. Nessuno si sogna di discutere il talento di Balotelli: se mai, i contenuti, al netto dei mulini a vento che continuano a girargli attorno. Domanda secca: con un giovane della Primavera al posto di Rami siamo sicuri che sarebbe andata peggio?
Ho colto nell’impianto di Simeone tracce di quell’italianità che abbiamo sacrificato al dogma del possesso palla, spacciandolo per il fine ultimo (quando, invece, resta un mezzo). Nei nostri pollai si segna di più perché non sappiamo più difenderci. Non a caso, Prandelli ha dovuto imbarcare un oriundo (Paletta). Sento dire che al Milan mancano grandi giocatori, e non solo o non tanto un gioco grande. Finalmente: si riparta da qui. E se i quattrini sono pochi, siano molte almeno le idee. Amen.